MAPPA DEL NERA

23 · Lancia di Luce

La “Lancia di luce”, meglio nota come Obelisco di Arnaldo Pomodoro, è il simbolo moderno di Terni, e raffigura l’evoluzione dell’arte fusoria dal ferro grezzo della base fino alla punta, che sembra essere d’oro.
Si tratta di cinque blocchi di acciaio inossidabile, di colori diversi grazie all’arte dei maestri fonditori di Terni che, utilizzando varie leghe, hanno reso l’acciaio inossidabile di colorazioni diverse.

Un peso complessivo di oltre cento tonnellate per un’opera d’arte alta trenta metri, che dal 28 novembre 1995, al termine di dieci anni di lavoro, è diventata uno dei simboli della città.
«Un inno alla produttività e alla fatica, esprime il difficile lavoro della fonderia, dall’inizio alla fine del processo, esaltando le capacità degli uomini in essa impegnati. Al tempo stesso, può essere interpretato come un’esaltazione del processo di fusione che, a partire dalla scoria, riesce a fornire un materiale pregiato e di alto valore aggiunto». Così Arnaldo Pomodoro descrisse la sua opera.
L’obelisco rappresenta lo stretto legame tra le acciaierie e la città di Terni. Pomodoro, infatti, ha voluto unire in un simbolo l’idea dell’evoluzione tecnologica, l’importanza della storia e del percorso che le acciaierie hanno significato per la città e, inoltre, la realtà del duro lavoro.

Le caratteristiche dell’opera

L’obelisco, alto 32 metri, si compone di 4 elementi, costituiti da 27 componenti fusi e altri 453 vari, del peso complessivo di circa 100 mila chili. Per la sua realizzazione sono state necessarie 6.000 ore per la costruzione dei modelli, 4.000 per quella delle parti fuse – 105.000 chili di acciaio liquido per i pezzi fusi, con 21 colate al forno elettrico – 3.000 per l’assemblaggio. La lancia di luce è un gigante di 105 tonnellate di acciaio, divisa in quattro sezioni: la prima, la base, è in acciaio, cromo e rame ed è la più alta della quattro; la seconda, intermedia, è di acciaio inossidabile, l’acciaio speciale ternano; la terza sezione è dello stesso materiale ma più geometrica e affilata dell’altra; la quarta, infine, in ottone lucente, è appuntita e di notte si trasforma in un ago incandescente.

La realizzazione della Lancia di Luce è il risultato di sollecitazioni diverse: in primo luogo dell’invito del presidente della Repubblica Sandro Pertini il quale, in visita alle Acciaierie di Terni nel 1984, rimase stupefatto per l’assoluta bellezza e importanza di alcuni manufatti, tanto da suggerire a dirigenti e operai di costruire un grande manufatto che esaltasse il loro lavoro e l’acciaio. A ciò si aggiunse la volontà di celebrare il centenario della Società Terni, fondata nel 1884. Una volta decisa la nascita della scultura, fu il critico d’arte Italo Mussa ad orientare la scelta dei dirigenti dell’azienda siderurgica e dei politici ternani verso lo scultore Arnaldo Pomodoro.

L’incontro con l’artista avvenne nel 1984 a Firenze, presso il Forte Belvedere, mentre era in corso la mostra Arnaldo Pomodoro: Luoghi fondamentali; il sindaco di Terni e l’assessore alla Cultura della Provincia di Terni ne rimasero impressionati. Pomodoro, a sua volta, visitò le Acciaierie e, pur non essendo quello il primo incontro con la siderurgia e i forni di fusione, rimase affascinato dal ferro e fuoco che vi si sprigionava; maturò così l’idea di edificare un obelisco a base triangolare, da posizionare nel crocevia fra via Guglielmi e corso del Popolo, cioè nel centro cittadino, per celebrare l’Acciaieria stessa. L’artista si mise subito al lavoro e, dopo alcuni mesi, era pronto un modellino in gesso in scala, alto circa 1,6 metri. Per la conduzione di tale opera, i responsabili della Società Terni chiesero la collaborazione di Mario Finocchio, dirigente del settore fonderia, il quale accettò a condizione però di costruire l’obelisco completamente in acciaio inossidabile e non in bronzo come tutte le altre opere di Pomodoro. La scelta dell’inossidabile, oltre ad una motivazione simbolica, offriva la possibilità di ottenere superfici di varia colorazione e finitura superficiale, semplicemente agendo sulla composizione chimica. Sin dall’inizio si manifestarono tuttavia alcune difficoltà di natura tecnica che ostacolarono una più rapida realizzazione dell’opera. L’artista marchigiano aveva immaginato la sua scultura alta circa 30 metri e costituita da 4 elementi, ognuno diverso dall’altro per forma, dimensioni e materiale utilizzato.

Tecnicamente, però, tali dimensioni impedivano qualsiasi possibilità di movimentazione e trasporto. Inoltre, se fosse stata realizzata piena, il suo peso avrebbe superato gli 850.000 kg. Fu deciso perciò di costruire l’obelisco in più parti, al fine di ottenerlo cavo al suo interno, in modo tale da ridurne il suo peso a “soli” 350.000 kg. Si cercò dunque di progettare i singoli pezzi e il loro relativo processo realizzativo con lo scopo di ottenere il minimo spessore possibile, scelta che contrastava tuttavia con l’utilizzo dell’acciaio inossidabile. In effetti, nel caso dell’inossidabile, tanto più si riduce lo spessore, tanto meno il pezzo si rende disponibile a farsi plasmare.

Sorsero inoltre una serie di problemi a cui era essenziale dare una soluzione: nello specifico, si dovette decidere come suddividere la scultura, ricomporre i vari pezzi ottenuti per fusione, impostare i calcoli al fine di rendere la struttura in grado di sopportare sollecitazioni esterne (come vento e terremoti) ed interne, legate all’enorme mole e alle dilatazioni termiche a cui l’acciaio è soggetto. A ciò si aggiunsero alcune questioni specificatamente organizzative: ad esempio, il coordinamento tra i diversi soggetti (Provincia, Comune, Acciaieria) partecipanti al progetto, facendo lavorare insieme, a stretto contatto, un tecnico, con le sue conoscenze, e un artista, con le sue esigenze, raramente conciliantisi tra loro.

Tutte le difficoltà furono comunque superate. L’opera fu realizzata per via fusa, versando metallo liquido in un’impronta di sabbia detta forma o stampo, che rappresentava in negativo l’esatta configurazione della scultura. Non fu possibile utilizzare la tecnica della fusione a cera persa, tanto cara a Pomodoro, perché le dimensioni e il tipo di materiale prescelto non ne consentivano l’utilizzo. Inoltre, con la particolare metodologia di fusione approntata i tecnici riuscirono a minimizzare lo spessore delle pareti di acciaio, pur soddisfacendo le numerose esigenze dello scultore in termini di precisione dei dettagli e finitura superficiale. Il metallo liquido necessario fu ottenuto, mediante fusione al forno elettrico ad arco, fondendo il rottame di acciaio e aggiungendo, di volta in volta, la percentuale dovuta di nichel, cromo e rame, in modo di ottenere il colore, la lucentezza e la resistenza necessaria. Questa è stata l’unica fase della lavorazione condotta lontano da Terni, in quanto i forni elettrici ad arco in funzione presso gli stabilimenti ternani erano di grandi dimensioni, inadatti per la fusione di piccole quantità di acciaio quali risultavano quelle richieste per i vari pezzi. Le fusioni furono così condotte in una delle tante mini-mills esistenti nel Nord Italia: se ne effettuarono 21 da 5.000 kg ciascuna, di cui 16 in acciaio corten e 5 in acciaio inossidabile, definendo 27 parti fuse. In tali operazioni fu necessario determinare la percentuale di carbonio equivalente delle varie composizioni chimiche, al fine di verificare l’effettiva saldabilità dei pezzi finali. Il travaso del metallo nelle forme appositamente preparate ha rappresentato uno dei momenti più emozionanti ma, al tempo stesso, più delicati dell’intero ciclo di fabbricazione.
Durante tale fase è stato necessario coordinare perfettamente le diverse operazioni, al fine di non vanificare il lungo lavoro di formatura e preparazione eseguito in precedenza. L’unione delle 27 parti fuse e delle 400 parti minori, quali i piani, le basi, le costole, i fazzoletti di tenuta, la scala interna, costituenti l’obelisco, fu condotta attraverso saldatura elettrica e taglio al plasma, avvalendosi di attrezzature e metodologie all’avanguardia. Al momento del colaggio fu introdotto anche il sistema di drenaggio dell’acqua piovana, ottenuto mediante tubi in PVC da 1 pollice, e una scala interna, utilizzata anche per le operazioni di finitura.

Dopo 10 anni di lavoro, il 28 novembre 1995, vennero montati gli ultimi due pezzi della scultura che, da quel giorno, svetta su Terni con i suoi 30 metri di altezza.

La Lancia di luce è una grande opera tecnica, oltre che scultorea, un’esaltazione delle tecniche di fonderia e di montaggio ma, anche, dell’ingegno dell’uomo. Come lo stesso Pomodoro ha avuto modo di evidenziare, l’obelisco rappresenta un inno alla produttività e alla fatica, esso esprime il difficile lavoro della fonderia, dall’inizio alla fine del processo, esaltando le capacità degli uomini in essa impegnati. Al tempo stesso, può essere interpretato come un’esaltazione del processo di fusione che, a partire dalla scoria, riesce a fornire un materiale pregiato e di alto valore aggiunto: effettivamente, nei piani dell’artista c’era l’idea di collocare alla base dell’opera dei pezzi di scoria provenienti dagli stabilimenti ternani, al fine di esaltare il processo produttivo, in un’escalation verticale che dal materiale di scarto arriva ad un acciaio di pregio, rappresentato dalla quarta sezione, passando attraverso degli stadi intermedi simboleggiati dalle prime tre.

Il primo segmento, alto 10 metri, è realizzato con un particolare tipo di acciaio, denominato acciaio corten (da corrrosion resistance e tensile strengh) che gli conferisce un aspetto come di ferro arrugginito, prerogativa caratteristica del particolare acciaio inossidabile utilizzato, contrassegnato da un’elevata resistenza agli agenti atmosferici e dall’essere scarsamente ossidabile. Esso simboleggia il passato, gli albori dell’innovazione tecnologica e della stessa Società Terni, quando agli inizi del XX secolo si cimentava con le nuove tecnologie fusorie. Le forme geometriche del primo segmento, simili a ingranaggi meccanici e a oggetti prodotti dalla grande industria, sembrano contenere elementi di dinamismo ed instabilità, interpretabili in relazione al dramma della scoperta tecnologica e dei suoi poteri distruttivi. I segni arcaici, le erosioni, in particolare, cercano di comunicare quello che potrebbe accadere se si facesse un cattivo uso della tecnologia, con i rischi e i tranelli presenti nel lavoro quotidiano. A questa visione pessimistica dell’innovazione tecnologica si sostituisce, se si osservano le parti superiori dell’obelisco, quella che è la speranza e un messaggio riguardante non più il passato ma il presente e il futuro.In realtà, il secondo e il terzo segmento, più piccoli, fatti in acciaio inossidabile trattato con accorgimenti specifici, sono nel contempo più legati alle forme solite dell’artista, dove l’acciaio non è più corroso, ma squarciato, come se fosse stato “rosicchiato da un verme insaziabile” (Comune di Terni, Arnaldo Pomodoro, Delta grafica, Terni 1995), a simboleggiare, emblematicamente, l’età contemporanea. Infine l’ultima parte, assolutamente geometrica e pulita, in cui, durante il giorno, il sole, per effetto della particolare levigatura della superfice, dà origine a particolari effetti. Tra l’altro, nel progetto iniziale, è stata prevista anche la possibilità che questo quarto segmento fornisca luce, in quanto illuminato da una luce di colore rosso: proprio per questo motivo l’opera è stata chiamata dal suo creatore Lancia di luce. D’altra parte, l’illuminazione, insieme anche alla particolare finitura superficiale conferita a questa ultima sezione, doveva rappresentare nell’intenzione dell’artista il momento stesso della fusione, dove l’acciaio è ancora incandescente e proviene dai forni, a rappresentare significativamente l’acciaieria. Il colore dorato del segmento finale indica la ricchezza e il futuro, a cui l’uomo aspira ma che, nei fatti, risultano lontani, in alto, nella sostanza irraggiungibili.

di Riccardo Massi. Fonte: www.icsim.it

L’obelisco si innalza lucido e vibrante da un verdissimo prato e rappresenta simbolicamente il viaggio dell’uomo verso le sue conquiste e in particolare il laborioso cammino.

Narra simbolicamente la nascita dell’industria dei metalli attraverso quel progressivo affinarsi della materia fino alla cuspide dove la stessa materia sembra prendere fuoco per divenire energia pura.

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